Dopo un silenzio carico di tensione e di reciproco risentimento, si avvicina al letto dove stavo ancora steso mezzo nudo e fa il gesto di spegnermi la sigaretta su una gamba. Io reagisco d'istinto, dandole una manata con uno sguardo del tipo "ma sei scema?!?" Lei mi guarda seria, io la guardo di rimbalzo. Rifà il gesto, questa volta non la fermo, la sigaretta tocca la pelle del mio ginocchio, di lato.
Fa male. Non una roba insopportabile, ma fa male. Lei torna al posacenere e finisce di spegnerla, ha quello sguardo un po' adolescente come se quasi si vergognasse per il suo stato emotivo, quasi le venisse da ridere (mi confesserà poi che, di base, era arrabbiata soprattutto per la ragionevolezza con cui le dicevo cose assolutamente irrazionali... vai a capire te... :-D)
Un momento dopo comincia a picchiarmi. Sono in posizione fetale e usa una mano, poi entrambe, sulle mie natiche esposte. Lì per lì ho anche paura per i gioiellini di famiglia, esposti pure loro. E però è stranamente liberante: si sta sfogando, lo sta facendo su di me, sul mio corpo, ed è sincera, questa volta non lo fa per me, lo fa per se stessa, per sfogarsi, per liberarsi, e mi sta usando. Vado in tilt.
Prende dall'armadio un frustino. Me le prendo, cerco di stare in silenzio, mi raggomitolo, ho voglia di piangere. Davvero. Di più: ho bisogno di piangere.
Mi fa stendere sulla pancia e comincia a colpirmi con la cintura: non sono bei colpi, la cintura non è rigida e si attorciglia su se stessa, quando cala mi ammacca. Non dico nulla, mi ripeto che sa cosa sta facendo, che sceglie lei, cerco di resistere, sento il cervello che comincia a scivolare via.
Ma dura un attimo: dopo pochissimo mi fa stendere sulle sue ginocchia, usa un po' le mani e poi il paddlelino. E sento chiaro, nettissimo, un cambiamento: è rientrata nei ranghi, non mi colpisce più con emozione ma cerca di fare le cose al meglio, le cose pulite, perchè possano piacere anche a me. Mi dà colpi forti, profondi, che mi rimbombano dentro.
Quando mi chiede se ne voglio ancora, non so cosa rispondere.
La risposta sincera, quella che non potevo dare, la riporto qua:
"Sì, vorrei che mi colpissi ancora, e vorrei sentire ancora la stessa emozione di un attimo fa, vorrei che mi colpissi non per me, ma per te, vorrei essere messo alla prova, vorrei che mi sgridassi e vorrei che andasse avanti per ore, fino a quando non sarò sfinito, fino a quando ti dovrò implorare di fermarti. Ed anche allora, vorrei che me la facessi sudare, la fine, vorrei essere messo alla prova, vorrei ubbidire."
Invece, tentennando, dissi: "non so".
Che potevo fare? Spiegarle dettagliatamente come avrei voluto si comportasse? Dirle: sì, continua, sgridami un po', arrabbiati un po', ecc ecc?
E non volevo neppure interrompere la scena, perchè avevo un grandissimo bisogno che continuasse.
Il mio errore.
Il mio errore credo sia stato non entrare nello stato emotivo/mentale giusto. Anche lì, anche mentre me le prendevo, il mio cervello continuava a pensare, a ragionare, a vagliare. C'è stato un breve momento in cui stavo cominciando a mollare il colpo, ma è finito troppo presto.
venerdì 17 aprile 2009
sono riuscito a farla arrabbiare (2/2)
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