domenica 3 maggio 2009

breakthrough (3/3): tanto tuonò...

Esco dal bagno con l'idea di togliermi gli abiti femminili e tornare pacifico alla vita di prima, quando sento una spazzola impattarmi su un gluteo. Mi volto e vedo la figlia del fiume che ridacchia, mentre mi riconduce in camera da letto.
Mi fa mettere in ginocchio e con il petto appoggiato al letto. Alza il vestito ed abbassa collant e mutandine - l'atto di essere spogliati è sempre eccitante, come i titoli di testa per un film attesissimo, allunga l'inizio pur essendo già iniziato.
Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, e quando la sua dolce manina ha impattato per la prima volta sul mio fondoschiena sono rimasto sorpreso: un colpo deciso, profondo, dato con fermezza.
Dopo il primo ne arrivano altri: si sente la forza fisica, il trasporto, l'impegno che mette in ogni singola botta. Mi scuote e mi fa ondeggiare, e si sente che non si sta tirando indietro, che fin da subito non si risparmia.
Arrivano colpi con una certa regolarità, alternando tra mani nude e spazzola (che in questo momento fa meno male, ho la sensazione che tenga il polso molle e l'energia del colpo non si scarichi tutta su di me ma se ne prenda un po' anche lei...). Dopo poco comincio a contorcermi, e per tenermi fermo mi monta a cavalcioni, sedendosi sulla mia schiena: a quel punto sono bloccato, dovrei fare davvero forza per scrollarmela, e comincio a non essere più nello stato mentale per coordinare così bene le mie azioni. Intanto l'avevo sentita trafficare con la macchina fotografica, avevo visto qualche flash, ed ora ho la sensazione che tenga la macchina fissa, continuando ad inquadrare: mi sta filmando.
Arrivano le botte: a gruppi, singole, ritmiche o sincopate, sparse o focalizzate su pochi centimetri di pelle. Arrivano e lentamente mi lascio andare: un po' titubante all'inizio, si fa strada lentamente la sensazione di essere presente, di essere vivo, il cervello si lascia andare. Ed entro in terre ignote: supero i punti noti, i limiti fino ai quali ci eravamo spinti, e proseguo oltre, verso un abbandono nuovo e profondo, verso uno spazio mentale che liquefa le mie ansie, le mie paure, le mie nevrosi: divento leggero e bianco, evaporo.

Fino a quando non riesco più a sopportare, e le chiedo di smettere: imploro pietà, anche se una parte di me vorrebbe che continuasse, che non mi stesse a sentire, che anzi aumentasse proprio per dimostrarmi che non ho controllo, che non sono io ad avere le redini del gioco.
Ed infatti dopo la mia richiesta, chiude con ancora una serie. Dieci colpi dati con la spazzola, forti e secchi, da prender fuoco e da lasciarmi sconvolto a balbettare.

Un istante dopo siamo a terra entrambi: mi abbraccia mentre tremo, singhiozzo (in questi casi odio la mia inettitudine al pianto), blatero e sbavo. Mi tiene a sé e mi sento protetto, difeso: è una sensazione splendida, non c'è nulla dentro o fuori di me, un vuoto caldissimo e rassicurante. E poi c'è lei, tutt'intorno, come un utero, come una casa, che mi conforta e consola.

Non era mai successo niente di simile. Non so se sia frutto dell'ansia accumulata, della litigata precedente - confesserà poi di essersi felicemente rivalsa sul mio povero culetto di tutte le menate fattele poco prima - o solo del bisogno di sottomissione che finalmente trova uno sfogo.
Non era mai successo niente di simile, ma non vedo l'ora che accada di nuovo.

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